I CENTRI PER RIMPATRI, MINIERE DI DENARO PER LE MULTINAZIONALI, LIMBO PER CHI FUGGE DALLA POVERTÁ

Il tema dei centri per rimpatri è tornato prepotentemente nei salotti politici, italiani ed europei, nel corso degli ultimi giorni. In realtà, si ritorna a un dibattito aperto da anni, quello sulla detenzione amministrativa delle persone migranti, introdotta dalla legge Turco-Napolitano” (legge n.40/1998), che per la prima volta istituì quelli che si chiamavano CPTA, Centri di permanenza temporanea e di assistenza, gestiti inizialmente dall’ente pubblico Croce Rossa Italiana.

Dopo pochi anni, agli inizi del 2000, i 14 CPTA esistenti sul territorio nazionale, per un totale di 1.400 posti, mettevano in luce numerose criticità, dalle condizioni igienico-sanitarie non soddisfacenti delle strutture alla detenzione di migranti fortemente vulnerabili, dall’inadeguatezza dei servizi di assistenza sanitaria alla mancanza di sostegno e informazione legale alle persone detenute.

Nel 2008, con il governo Berlusconi IV e il cosiddetto Pacchetto sicurezza dell’allora ministro dell’interno Maroni, il sistema di detenzione amministrativa venne potenziato, e i CPTA trasformati in CIE, Centri di identificazione ed espulsione, con il conseguente aumento tempo di trattenimento in queste strutture fino a 180 giorni, poi portati a 18 mesi nel 2011.

In concomitanza, la Croce Rossa fu estromessa dal servizio con lo scopo di minimizzare i costi di gestione di questi Centri e a lasciare spazio nei bandi di gara alle cooperative che propongono delle offerte economicamente più vantaggiose.

Un recente report pubblicato da Coalizione italiana Libertà diritti civili (CILDI)[1] ha messo in luce come dal 2014 cominciarono a presentarsi nelle gare d’appalto per l’affidamento dei CIE – rinominati nel 2017 Centri di Permanenza e Rimpatri (Cpr) con d.l. 17 febbraio 2017 n. 13 – non più solo Cooperative ma anche società e grandi multinazionali che, in tutta Europa, gestiscono Centri di trattenimento e servizi ausiliari all’interno delle carceri. Solo nel triennio 2021-2023, sono stati previsti 56 milioni di euro per gli appalti che dovrebbero affidare la gestione dei 10 Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) a soggetti privati.

Il report riporta i vari bandi vinti a basso costo. In questi luoghi, dentro a 5 euro ci si riesce a fare entrare tutto: colazione, pranzo e cena. Ma soprattutto riesce a star dentro una pericolosissima “extraterritorialità giuridica”. Perché sono luoghi di nessuno, in cui si estendono e riducono i termini di trattenimento, avviene in modo strutturale una forma detentiva che priva le persone migranti di qualsiasi tipo di diritto, senza la commissione di alcun reato. Una privatizzazione che riguarda ogni ambito della gestione interna: dall’assistenza sanitaria, ai servizi di informazione normativa e mediazione linguistica.

E questo non è l’unico aspetto controverso. A destare grande preoccupazione sono i criteri che il governo Meloni intende adottare per decidere chi deve essere rimpatriato e dove. Di fatto, l’intento è ampliare gli accordi con Paesi autoritari in cui la tutela dei diritti umani è pressoché inesistente. Così come è stato per Libia e Turchia, paesi di partenza dei migranti dove le violazioni dei diritti fondamentali sono costantemente riportati. Associazione Don Bosco 2000 ha più volte criticato il potenziamento dei rimpatri come pratica inaccettabile. “Come si possono rimpatriare persone che magari non scappano dalla guerra ma dalla fame, dalla povertà, che hanno rischiato di morire nel deserto o nel Mediterraneo, e dopo tutto questo sono arrivate nel nostro Paese?”, ha dichiarato Agostino Sella, presidente di Don Bosco 2000, “i centri di rimpatrio rischiano di diventare dei lager da cui i migranti cercano si scappare e rimanere senza documenti in Italia. È un cane che si morde la coda”. Un tema, quello dei rimpatri, che peraltro si contraddice con l’idea di azionare un decreto flussi per far arrivare i migranti e farli lavorare nel nostro Paese, senza potenziare la formazione di coloro che già ci vivono.

[1] CILDI, “L’affare CPR. Il profitto sulla pelle delle persone migranti”,